RIVENDICAZIONI

Vagoni rosa sì, vagoni rosa no. Come la polarizzazione del dibattito nuoce all’intersezionalità

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di Greta Cassanelli

Vedere ogni discussione ridotta a quel binarismo che in tanti altri contesti ci piace invece contestare mi fa tristezza, o rabbia non l’ho ancora capito.


Vedere l’appiattimento di un dialogo complesso nato dalla –legittima- paura delle donne, a una guerra tra si e no, mi fa pensare che forse in questi spazi online studiati proprio per polarizzare il pensiero, ci abbiamo passato troppo tempo.

Mi piacerebbe avere la sicurezza di chi -senza se e senza ma- riesce a scagliarsi contro l’idea di un vagone per sole donne.


Affermare che non può essere la soluzione, che sono gli uomini a dover essere educati e non le donne a difendersi, è ribadire delle grandi verità, che mi trovano più che d’accordo, ma è troppo facile.


Non si può far seguire un PUNTO a queste affermazioni, non si può tagliare con l’accetta il discorso e lasciare in ombra tutti quegli aspetti, più scomodi, ma non meno legittimi.


Neanche le case rifugio sono LA soluzione. Anche il fatto che debbano essere le donne che hanno subito violenza ad allontarsi dal mondo, ad essere private della socialità -spesso pure del cellulare- mentre il loro abuser si prende il caffè con gli amici, è paradossale e ha qualcosa di profondamente sbagliato alla base.
L’isolamento – è vero – è una forma di violenza.


Ma quando l’isolamento è l’unica risorsa che il nostro sistema ci offre , quando è l’unica condizione in cui alcune donne riescono a sentirsi sicure, che facciamo?

Gli uomini devono essere rieducati – perché l’isolamento delle donne non è LA soluzione e l’inasprimento delle pene per gli uomini nemmeno, e siamo d’accordo– ma mentre questo processo di rieducazione è in corso ( e lo è, al di fuori della nostra bolla?) noi, dalla paura, come ci difendiamo?


Quando parliamo di cambiamenti culturali necessari non possiamo dimenticarci delle tempistiche che tali cambiamenti richiedono.


In questo caso specifico, poi, c’è un punto che mi sembra venga ignorato ma che invece credo sia fondamentale. Questa proposta non è arrivata dall’alto, non si tratta dell’ennesima genialata pensata dal maschio di turno per limitare la nostra libertà. Questa richiesta è arrivata dal basso.

Dalle donne che, su quei vagoni, sono costrette a viaggiarci, magari tutti i giorni. Magari di notte.


Sono loro a chiedere uno spazio che le faccia sentire sicure, che le faccia tornare a casa senza la paura di non arrivarci.
Cosa facciamo con le loro voci? Le ignoriamo e le lasciamo con le loro (le nostre) paure mentre disquisiamo su quanto sia inutile questa pratica per noi che di notte i treni non li prendiamo?


E anche quando parliamo di aumentare i controlli, ai controlli da parte di chi ci riferiamo ? A quelli della polfer? Quella stessa polfer i cui interventi spesso e volentieri sono mossi da racial profiling che poi siamo prontx a condannare?


Dove l’abbiamo lasciata l’intersezionalità in questo dibattito?


Io la soluzione preconfezionata al problema della violenza non ce l’ho, ma credo che un buon punto di partenza per la costruzione di soluzioni che arrivano dal basso e che siano intersezionali, sia cominciare ad ascoltare più voci senza difendere a spada tratta quella che NOI pensiamo essere la soluzione.


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