Ceuta. Un limbo tra mare e terra.
di Greta Cassanelli
Diari da luoghi di frontiera #1
Non so bene come mi immaginassi una città di frontiera prima di arrivare qui.
Sicuramente immaginavo una rete. Una rete alta e lunga. Con il filo spinato in alto, a confondersi col cielo.
Immaginavo due lati, quello di qua dalla rete e quello di là. Identici ma per qualche ragione diversi, divisi.
Il concetto di frontiera è difficile da concepire.
Una frontiera è un’astrazione che diventa limite. Per volontà di pochi. A spese di molti.
Una frontiera divide lo spazio in modo arbitrario, prepotente.
Cosa c’è di più violento che vedere la propria casa lì, a pochi metri da te, ma non poterla raggiungere?
Una frontiera, a volte, divide anche il tempo. Qui, in base a dove ti trovi, anche l’orario cambia. Andando avanti e indietro di due ore in base a quanto ti avvicini al confine.
Cosa c’è di più astratto e allo stesso tempo di più concreto delle leggi arbitrarie inventate dall’uomo?
Questa città è un carcere a cielo aperto.
Da un lato, una rete. Dall’altro, il mare.
Un tratto di mare così breve che la penisola, porta d’Europa, meta agognata, si lascia contemplare a occhio nudo.
Un tratto di mare così breve che ti da la sensazione di poterlo attraversare a nuoto.
E c’è chi, ad attraversarlo, questo mare, ci prova davvero.
Chi su imbarcazioni di fortuna, di notte, sperando di non essere visto dalla guardia costiera.
Chi infilandosi sotto un camion, aggrappato a una struttura a pochi metri dal cemento e dalle ruote.
Risky, lo chiamano. Difficilmente un nome poteva essere più azzeccato.
Bambini a cui è stata rubata l’infanzia che si infilano sotto un camion nella speranza di essere ancora in tempo per l’adolescenza.
..
Alcuni ci riescono. Alcuni raggiungono la penisola e da lì si disperdono verso le più varie destinazioni d’Europa. A raggiungere conoscenti, amici, familiari. Un sogno.
Altri non ce la fanno. Per alcuni la speranza di una vita migliore se la portano via le onde, o rimane intrappolata sotto le ruote di un camion.
Il diritto di movimento è un’utopia.
Niente ti fa rendere conto di quanto la mobilità sia un privilegio quanto vivere accanto a chi, quel privilegio, non ce l’ha.
“Perché tu puoi andare e venire quando vuoi e noi no?”
Vorrei rispondere. Vorrei avere qualcosa di sensato da dire. Vorrei dirvi venite con me, tutti. Lontano da questo limbo, da queste rocce a picco sul mare che chiamate casa, da quest’odore di benzina che vi impregna la pelle.
Vorrei dire tante cose. Ma non posso. Perché la verità è che non lo so. Non lo perché io posso andarmene e voi no. Perché a me è toccata una vita e a voi un’altra. Vorrei dirvi tante cose.
“Stanotte riproviamo a fare il risky. Inshallah.”
“Inshallah” , è l’unica cosa che riesco a dire.