IDEE,  STORIE

Eccesso di solidarietà. Quando la voglia di aiutare non aiuta

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di Greta Cassanelli

La guerra in corso in Ucraina è probabilmente la guerra con maggior copertura mediatica nella storia. La prossimità geografica all’occidente, la capacità che l’occidente ha di capitalizzare e rendere prodotto qualsiasi cosa e il potere pervasivo dei social in questa parte di mondo, hanno reso, o hanno dato l’impressione di rendere, questa guerra alla portata di chiunque.

E quando la comprensione di una situazione sembra essere alla portata di tutti, significa che, necessariamente, quella situazione è stata vittima di una dannosa operazione di semplificazione.

Niente di nuovo. Ad essere nuove sono le conseguenze a cui questa semplificazione sta portando.

Non parlo della polarizzazione del dibattito, della riduzione della complessità alla bicromia del bianco o nero, già fin troppo vista in tempi di pandemia.

Parlo dell’ondata di solidarietà e morboso interesse che, questa volta validata e incoraggiata dalle istituzioni, ha travolto come raramente prima (mai?) cittadini e cittadine di tutta Europa.

Sia chiaro, non c’è niente di più bello, etico e rivoluzionario della solidarietà. Risulta però difficile non diffidare,  o quanto meno storcere la bocca, di fronte a una solidarietà che è selettiva, circoscritta, temporanea.

Ma non è questo il punto. Il punto è che se questa guerra ci sembra alla portata di tutti, tutti, di questa guerra, vorremo essere – almeno un po’- protagonisti.

Chi convertendosi nottetempo in specialista di geopolitica euroasiatica, chi noleggiando pulmini per andare a recuperare persone alla frontiera, chi pensando a come sarebbe bello adottare un* bambin* ucrain*, chi svuotando gli armadi per contribuire alle donazioni. Eccetera.

Tutte cose che, se fatte bene, con l’appoggio e la coordinazione di organizzazioni e reti territoriali, sono fondamentali.

Ciò che rischia di diventare controproducente, se non addirittura dannoso, è l’improvvisazione.

Sono varie le Organizzazioni umanitarie che in questi giorni stanno segnalando le problematicità, spesso gravi, derivanti dall’iniziativa dei singoli.

Tra le più gravi, il pericolo di traffico di esseri umani. Il viavai di mezzi privati alle frontiere aumenta esponenzialmente il rischio che membri di reti criminali riescano a rapire donne e bambin* con la promessa di un lavoro e di un alloggio.

Più la situazione sul territorio diventa caotica, più sarà difficile operare i controlli necessari. Nostra responsabilità, se vogliamo aiutare, è semplificare le cose, non complicarle.

Stessa cosa per quanto riguarda le donazioni di beni essenziali. Donare prodotti a caso, senza essersi informati sulle effettive e specifiche necessità del momento, rallenta moltissimo il lavoro delle organizzazioni. Dietro ad ogni scatola donata ci sono persone che quelle scatole dovranno aprile, valutarne il contenuto, smistarle. Se moltiplichiamo le scatole per il numero di persone con buona volontà quello che otteniamo sono ore e ore di lavoro in più che con piccole accortezze poteva essere evitato. Oltre al fatto che ciò che non serve, finisce in un cassonetto.

Prima di donare a un’organizzazione, chiedete sempre di cosa hanno urgente bisogno. Se non avete contatti diretti o non avete a disposizione ciò che serve, donate soldi.

Se avete tanti vestiti da donare che in quel momento non servono, informatevi sulle realtà solidali attive sul vostro territorio, qualcun’altrx potrebbe averne bisogno. Quella ucraina non è, purtroppo, l’unica emergenza in corso.

C’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione. Crisi umanitarie precedenti hanno mostrato cosa significa inondare i mercati locali con beni donati dall’esterno, piuttosto che cercare di reperire quegli stessi beni -se disponibili- il più vicino possibile, risparmiando risorse e sostenendo le economie locali.  Far arrivare da lontano in Ucraina e nei paesi di frontiera ciò che potrebbe essere reperito sul territorio implica costi di trasporto privato ( con i prezzi del carburante alle stelle) e un’impronta ecologica che potrebbero essere risparmiati.

Lo abbiamo visto ad Haiti dopo il terremoto del 2010. Il caos è stato tale che la comunità internazionale viene ancora incolpata di un modus operandi le cui conseguenze sono ancora oggi visibili. Molti ricorderanno le immagini di tonnellate di aiuti alimentari e medicine che scadevano mentre la gente moriva.

Infine, per quanto riguarda le adozioni, il tema è ancora più complicato. Adottare un* bambin*, probabilmente orfan*, non è un’esperienza, non è qualcosa che si fa per sentirsi in pace con la coscienza. Significa non solo essere disposti a prendersene cura per un periodo che potrebbe essere molto lungo ma anche avere la possibilità economica, lo spazio fisico e la stabilità per farlo.

Ogni volta che vogliamo aiutare, ogni volta che prendiamo una decisione, ricordiamoci sempre del Do-No-Harm approach: fare un passo indietro prima di intervenire, osservare il contesto più ampio, mitigare i potenziali effetti negativi delle nostre azioni.

Una volta fatto ciò, via libera alla solidarietà, purché non sia selettiva.


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